Beni Culturali Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico per il Polo Museale della città di Roma

Sala 7 - Gli affreschi Altoviti

PV. sala Altoviti

 

PV.Altoviti.Omaggio a Cerere

 

 

PV Altoviti Tevere 

 

PV.13475.J.Cobaert.Altarolo

La Sala Altoviti è uno dei tre ambienti risultanti dalla partizione della Sala Nova, che dopo l'incendio del 1569 sostituì la Sala Pisana, fatta aggiungere all'appartamento cardinalizio da Francesco Pisani, titolare di San Marco dal 1527 al 1564.
La sala Altoviti prende nome dagli affreschi originariamente eseguiti in Palazzo Altoviti, montati qui nel 1929.
Nel novembre del 1553 Giorgio Vasari affrescò, in sole tre settimane, la loggia del palazzo di Bindo Altoviti, banchiere di origine fiorentina al servizio del pontefice Giulio III Ciocchi Del Monte (1550-55); l'edificio fino alla fine del XIX secolo sorgeva di fronte a Castel Sant'Angelo, tra Piazza di Ponte e il Tevere.
Nel 1876 la cosiddetta "Legge del Tevere" stabilì la costruzione degli argini in muratura del fiume, le cui acque troppo spesso allagano la nuova capitale del Regno d'Italia. Tra i numerosi edifici distrutti ci fu anche la residenza della famiglia Altoviti. Nel 1887, un anno prima che il palazzo venisse abbattuto, gli affreschi vasariani vennero separati dal muro con la tecnica dello "strappo" dal pittore-restauratore Pietro Cecconi Principi, montati su tele (un grande ovale centrale e oltre 40 frammenti) e insieme agli ovali in stucco e ad alcuni altri dipinti murali (in origine posti nella sala adiacente alla loggia) vennero trasportati in Palazzo Corsini alla Lungara, sede della Galleria Nazionale d'Arte Antica.
La volta Altoviti venne ricomposta dal pittore Torello Rupelli, che si occupò anche dell'integrazione degli affreschi e della loro contestualizzazione all'interno della sala, ottenuta con le paraste di gusto rinascimentale decorate a grottesca che corrono verticali lungo le pareti (1932).
Nel recente restauro (2003) sono state individuate le parti originali e quelle integrate nel ‘900 da Rupelli e chiarite le questioni tecniche relative al trasporto e all'ancoraggio degli affreschi alle strutture preesistenti della sala. E' stata inoltre ritrovata una botola, corrispondente al monocromo raffigurante Cerere che affida a Trittolemo la sua missione, - le cui cerniere dopo la pulitura appaiono evidenti -, che ha permesso di rivedere la soprastante volta della Sala Pisana.

Iconografia

Nel grande ovale centrale è raffigurato l'Omaggio a Cerere: sulla destra la dea dei campi e delle messi siede su un trono trainato dai serpenti, animali simbolo della forza generatrice della Terra, e tiene nelle mani spighe dorate e una cornucopia, simbolo di abbondanza. Sulla sinistra ancelle e sacerdoti le offrono in dono i frutti della terra: ceste con spighe e le prime biade, favi di miele, anfore, ecc.
Ai lati dell'ovale due riquadri (montati l'uno al posto dell'altro rispetto alla collocazione originaria) con dei vecchi incoronati da fanciulle rappresentano Firenze che incorona l'Arno e Roma che incorona il Tevere, affiancati dai simboli delle città (il leone Marzocco ed il giglio e la Lupa con Romolo e Remo).
Tutt'intorno grottesche, giochi di putti, una Zuffa di Tritoni e una Zuffa di Centauri. Ai lati dei Fiumi, due coppie di piccoli monocromi raccontano il mito di Cerere e Trittolemo, il figlio del re d'Eleusi, cui la dea prima insegna e poi incarica di diffondere tra gli uomini l'arte della coltivazione della terra: Cerere allatta Trittolemo, Cerere sottopone Trittolemo al rituale del fuoco (per dare vita eterna al giovane), Cerere affida a Trittolemo la sua missione, Cerere riparte alla ricerca di Proserpina.
Negli ovali e negli esagoni posti alla base della volta sono raffigurati i dodici mesi dell'anno. Sulla parete breve con la finestra sono Marzo e Aprile, raffigurati come Marte, con l'elmo ai piedi ed il lupo (elemento araldico della famiglia Altoviti), e Venere.
Gli altri dieci mesi, per la cui realizzazione Vasari seguì le indicazioni fornitegli dall'umanista Annibal Caro, si rifanno alla tradizione iconografica legata alle attività umane e alla coltivazione della terra: Maggio (un giovane che raccoglie fiori), Giugno (un giovane che falcia il fieno), Luglio (un uomo che miete il frumento), Agosto (un uomo che si disseta mentre esce dall'acqua), Settembre (il vendemmiatore), Ottobre (l'ornicoltore), Novembre (un contadino che ara il terreno con i buoi), Dicembre (il seminatore), Gennaio (il cacciatore), Febbraio (un vecchio che si scalda al fuoco). In ognuna delle dodici raffigurazioni compaiono due segni zodiacali, oggi non sempre visibili, letteralmente "entranti" ed "uscenti" (metà figura in un riquadro e metà in quello successivo). L'intera volta, celebrazione della famiglia Altoviti, nasconde alcuni ritratti, tra cui quello di Bindo Altoviti, il sacerdote con il mantello giallo, di Michelangelo Buonarroti, amico del banchiere e rappresentato alle sue spalle,  di Giorgio Vasari nel mese di Luglio, e  di Annibal Caro nel mese di Dicembre. Giambattista Altoviti, figlio di Bindo, fu condottiero nella lotta antimedicea ed è raffigurato come Marte  nel mese di Marzo, mentre sua moglie Clarice Ridolfi è la dea Venere  di Aprile. Altri membri della famiglia erano poi ritratti nei busti all'interno delle nicchie che un tempo completavano la decorazione della volta.
I tre medaglioni in stucco (un quarto andò distrutto) rappresentano divinità classiche simboleggianti gli elementi, poste su cocchi trainati dagli animali ad esse sacri: Vulcano e Cerbero (Fuoco), Nettuno e i cavalli marini (Acqua), Giunone e i pavoni (Aria).

Altre opere presenti nella sala:

Oltre alla Testa della Nike (140 d. C.), copia della Nike sulla mano destra dell'Atena Parthenos scolpita da Fidia nel Partenone di Atene, la sala ospita la Croce d'altare, opera del fiammingo Jacob Cobaert dell'inizio del XVII secolo, completata poi nella seconda metà dello stesso secolo con il Crofisso realizzato dalla bottega di Gian Lorenzo Bernini.

  

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pagina creata il 10/11/2008, ultima modifica 25/06/2018